Nuovo Corso di Laurea Triennale
in
INFORMATICA APPLICATA
L'Università
degli Studi di Urbino apre alle tecnologie dell'informazione:
nasce
un nuovo Corso di Laurea Triennale in Informatica Applicata
Presentazione
Giovedì, 19 luglio 2001
ore 11:30
Aula Magna - Campus Scientifico
Località Crocicchia – Urbino
Mauro Magnani |
Introduzione - Obiettivi formativi del Corso di Laurea in Informatica Applicata e quadro generale delle attività del Corso |
Umberto Paolucci |
Sinergie tra Università e aziende: un aiuto concreto al mondo del lavoro |
Alberto Cazziol |
Università, territorio e imprese: sinergie in azione |
Piero Valentini |
Professioni del futuro e Università |
Gaetano Mazzanti |
Il Dream Team di R&D di think3 |
Introduzione
Obiettivi formativi del Corso di Laurea in
Informatica Applicata e
quadro generale delle attività del
Corso
Mauro MAGNANI
Preside della Facoltà di Scienze Matematiche,
Fisiche e Naturali
Questa mattina l'Università di Urbino presenta
ufficialmente il lavoro di oltre un anno e mezzo di progettazione per realizzare
una nuova iniziativa, che non è solo un altro corso di laurea, ma
in questo momento per l'Università di Urbino significa entrare in
un ambito di formazione nuovo, non tradizionale, ancora non presente in
Ateneo.
Questo ambito di formazione è quello dell'Informatica
Applicata, e questa mattina cercherò di darvi alcune informazioni
su quella che è l'immagine di questo Corso di Laurea che stiamo
costruendo e sul percorso formativo che stiamo realizzando.
Per fortuna, e grazie alla collaborazione generosissima
delle persone che vedete a questo tavolo, questa iniziativa riesce ad essere
modellata non già come un unico percorso universitario, ma come
un nuovo percorso realizzato, progettato, immaginato insieme a chi di fatto
oggi nell'informatica è leader in termini di azienda, di
utilizzo e di competenze.
Io credo che il nostro ruolo, quello della formazione,
sempre di più e in particolare in questo settore, quello della Information
and Communication Technology, non possa essere disgiunto da quelle
che sono le esperienze delle aziende e le esperienze di coloro che avranno
la necessità di utilizzare le persone che l'Università forma.
D'altra parte l'Università ha istituzionalmente
questo ruolo di occuparsi della formazione. L'Università di Urbino
e i colleghi che hanno appoggiato questa iniziativa sicuramente condividono
quanto vi sto dicendo in questo momento, cioè le aspettative molto
grandi che l'Università nel suo insieme sta ponendo in questa iniziativa
e le aspettative che la Facoltà di Scienze MM.FF.NN., in particolare,
vuole realizzare, mettendo tutte le proprie energie anche in termini
di persone che stanno dedicandosi a questo nuovo corso.
Quando abbiamo cominciato questo lavoro, oltre
un anno fa, l'abbiamo fatto su una base di numeri, di considerazioni che
assieme abbiamo cercato ed elaborato. La più significativa di queste
considerazioni è quella che è riportata in questa slide,
cioè che di fatto in Italia (in questo ci hanno aiutato soprattutto
le persone che il Magnifico Rettore Carlo Bo ha nominato con un apposito
decreto per occuparsi della finalizzazione di questo corso) questa situazione
è particolarmente drammatica in questo momento. Si stima
che il mercato della Information and Communication Technology in
Italia nel '99 sia stato di oltre 95.000 miliardi, con un incremento del
13% rispetto all'anno precedente. E si stima anche che mancano 69.000 risorse
professionali in questo settore, che vuol dire, in termini economici, la
mancanza di reddito nel '99 di 7.000 miliardi, stimata per il 2001 in 17.000
miliardi: sono cifre enormi rispetto anche ad altri settori del mercato.
Se questa è la situazione, che cosa può
fare l'Università, anche per il ruolo che deve giocare? Sicuramente
questa situazione ha una sola soluzione: la soluzione è la formazione,
una formazione che sia in grado però di ridurre questa mancanza
di competenze e che contemporaneamente sia in grado di generare un processo,
una dinamica che eviti le distorsioni salariali, il rubarsi le competenze
tra un'azienda e l'altra in questo settore, che possa creare nuova occupazione,
che possa aumentare la competitività delle imprese.
Quali sono attualmente i numeri nel quadro della
formazione universitaria della Information and Communication Technology?
In Italia oggi i laureati in questo settore sono circa il 2% dei laureati
totali: è un numero relativamente modesto. Gli immatricolati ai
corsi di Informatica sono grosso modo il 2,9% sul totale delle immatricolazioni.
C'è in realtà un aumento di sensibilità: il numero
delle persone che si stanno iscrivendo a questi corsi ha un trend
positivo, ma comunque è ancora un numero relativamente modesto rispetto
a quelle che sono le esigenze del mercato. E che il mercato abbia necessità
di queste figure professionali si può evincere anche dalla occupazione
che trovano le persone con competenze informatiche. Si stima che oltre
il 93% dei laureati in Informatica, di fatto, siano immediatamente occupati,
contro una media che va intorno al 70% per tutte le altre professioni.
Sulla base di queste considerazioni, l'Università
ha attivato delle proposte, che sono state discusse negli organi accademici.
Il Rettore Carlo Bo, alla fine dell'agosto del 2000, ha costituito con
un apposito decreto una Commissione che fosse in grado di elaborare un
progetto. Questa Commissione era costituita, oltre che dal sottoscritto,
dal Prof. Lorenzo Donatiello,
che è professore di Informatica presso
l'Università di Bologna, dal Prof. Enrico Macii,
che è professore di Sistemi di Elaborazione delle Informazioni presso il Politecnico di
Torino, dal Prof. Bruno Riccò,
che è professore di Elettronica
presso l'Università di Bologna, dall'Ing. Umberto Paolucci, Vice President
di Microsoft Corporation, e da Paolo Valcher, che si è aggiunto come
esperto su richiesta della Commissione.
Questa Commissione ha lavorato per circa un anno
e alla fine ha realizzato un progetto, che è stato presentato agli
organi accademici, fatto proprio dall'Ateneo, approvato, e con quest'anno
diventa una nuova laurea in Informatica Applicata presso l'Università
degli Studi di Urbino.
Quali sono gli obiettivi di questa laurea in
Informatica Applicata? La formazione di una figura professionale di informatico,
che sia in grado di operare immediatamente nei settori della Information
and Communication Technology.
Quali sono le attività formative che sino
ad ora siamo riusciti ad immaginare e che stiamo realizzando in termini
di infrastrutture, necessarie per questo tipo di formazione? Oltre alle
lezioni frontali, alle esercitazioni, attività tradizionali di formazione,
quello di fornire dei corsi di certificazione delle competenze IT individuali
è forse un valore aggiunto, insieme alla possibilità per
tutti gli studenti di poter effettuare stages presso le aziende
che operano in questo settore. La presenza anche delle aziende che sono
qui rappresentate è per noi una garanzia in questo senso, come anche
per gli studenti che si iscriveranno a questo corso.
I curricula che abbiamo immaginato sono
prevalentemente due: Sistemi Integrati Hardware/Software
e Sistemi Multimediali Integrati. Volevo però sottolineare la
possibilità, rilevante per gli studenti, di costruirsi dei propri
curricula oltre a questi curricula ufficiali. Ciò essenzialmente per
due motivazioni: per favorire l'interdisciplinarietà, cioè
uno studente può costruirsi un curriculum non esclusivamente
sulle discipline insegnate dalla Facoltà di Scienze MM.FF.NN. o
dalla Facoltà di Scienze Ambientali, che istituzionalmente collaboreranno
alla realizzazione del Corso di Informatica Applicata, ma anche sulle discipline
che sono impartite in altre Facoltà dell'Ateneo e non solo dell'Ateneo.
Quindi è possibile realizzare dei percorsi didattici che non siano
esclusivamente quelli tabellari. Uno di questi curriculum, ad esempio,
è stato già immaginato dalla Facoltà di Sociologia:
è quello di Manager dei Contenuti Digitali, gestito dalla Facoltà
di Sociologia non per la formazione in Informatica, ma per quel percorso
specifico che riguarda un certo numero di discipline.
Abbiamo previsto che lo studente in Informatica
(e molto probabilmente forse in futuro tutti gli studenti dell'Ateneo)
debba avere anche ulteriori conoscenze, oltre a quelle specificamente di
tipo tecnico. Nel corso di Informatica, ad esempio, abbiamo introdotto
l'Informatica Giuridica, che vuol dire essenzialmente due cose: il rendersi
conto che ci sono delle normative precise, nel campo dell'informatica,
che sono tutelate da leggi, ma contemporaneamente ricordare anche, in questo
corso, che c'è l'ambito applicativo delle scienze giuridiche, che
hanno sempre di più bisogno dell'informatica per poter funzionare.
Sarà ovviamente fondamentale la conoscenza della lingua inglese,
ma abbiamo voluto aggiungere anche elementi di Economia e Gestione dell'Impresa,
e in questo curriculum abbiamo aggiunto anche un corso di Comunicazione
d'Impresa. Riteniamo che questi siano tutti elementi fondamentali per questo
nuovo corso.
Vorrei che le persone che oggi gentilmente sono
venute in Urbino - l'Ing. Paolucci, il Dott. Cazziol, il Dott. Mazzanti
e il Dott. Valentini - abbiano la possibilità di esprimere la loro
opinione e di aiutarci ulteriormente nella costruzione di questo percorso
che è, come dicevo all'inizio, per l'Università nuovo, ed
è per tutti noi una scommessa.
A questo punto voglio solo ringraziare
le persone che hanno preso parte a questa Commissione per l'Informatica
Applicata nominata dal Rettore, e tutti i colleghi che nell'Ateneo hanno
creduto in questa iniziativa e che hanno fornito dei contributi positivi:
ho ricevuto messaggi, suggerimenti da molti di voi e per questo pubblicamente
vi ringrazio.
Microsoft, Etnoteam, Biesse s.p.a., think3 sono
oggi con noi. Voglio anche ringraziare in anticipo coloro che dopo di oggi
vorranno aggiungersi e continueranno ad aiutarci. Quindi grazie di nuovo
per questo.
Sinergie tra Università
e aziende: un aiuto concreto al mondo del lavoro
Umberto PAOLUCCI
Vice President
Microsoft Corporation
Ringrazio di avere avuto la possibilità
di far parte di questa iniziativa. A volte si parla di tempi lunghi, di
burocrazia e quant'altro, e invece no! Mi ha chiamato l'estate scorsa un
mio amico di Rimini, Alfredo Aureli, che è amico del Prof. Stefano
Pivato, che è qui, e ha detto: "Facciamo questa cosa?" e siam partiti.
Ci siamo incontrati, abbiamo cominciato a ragionare. Ci siamo incontrati
diverse volte, e siamo arrivati tranquillamente dove siamo e sono contento
di questo.
Volevo chiarire l'equivoco che sia finito qualcosa
e che le delusioni che abbiamo avuto in Borsa significhino che è
finito un ciclo e che quindi la finanza che non esiste, la finanza delle
aziende che non avevano valore, sia importante. Ciò che è
invece importante è che siamo all'inizio di un ciclo, il ciclo della
IT, che deve fare sempre più cose per le nostre aziende, che
deve trasformarle, che deve darci modo di cambiare veramente il modo di
lavorare sul mercato. Cosa stiamo facendo in questo momento, come Microsoft?
Ci stiamo occupando di una strategia che si chiama .NET, che ha
l'obiettivo di rendere Internet più facile, più vicina a
quello che serve alle imprese, alle persone: un'Internet che possa consentirci
di ridisegnare il nostro modo di lavorare, di essere insieme, di valorizzare
le persone, di usare oggetti diversi, come il PC, il telefono, il televisore;
un'Internet che possa consentire al nostro modo di correlarci agli altri
(che siano colleghi oppure amici o corrispondenti e quant'altro) in maniera
molto più naturale di oggi.
L'equivoco che vorrei dissipare è questo:
da un lato c'è stato un inizio turbolento, cioè di realtà
che non avevano idea di business e sbocchi finanziari significativi,
ed è quindi giusto che abbiano fatto la fine che hanno fatto; dall'altro
c'è invece un percorso tecnologico che sta cominciando, per il quale
gli effetti si stanno appena cominciando a vedere. In realtà, da
qui in avanti si cominceranno a vedere veramente gli effetti e l'impatto
nelle imprese di questi nostri oggetti di lavoro e di aspirazione.
La nostra strategia .NET, che è
una piattaforma, un insieme di strumenti per scrivere software per
sistemi operativi e applicativi come Office, per far funzionare
insieme tutti questi oggetti, ha proprio l'obiettivo di far fare un salto
in avanti alla semplicità, alla pervasività e alla possibilità
di usare i vantaggi della rete dovunque in maniera connessa, quando è
possibile, e in maniera invece senza fili (wireless) quando la connessione
non è possibile.
Il problema che ci troviamo ad affrontare in
questo momento storico è che mentre le tecnologie stanno maturando
e quindi quelli come noi propongono delle soluzioni adeguate ai problemi
tecnologici di base, mentre queste cose qui sono a posto, ciò
che non è a posto è la quantità di persone e la conoscenza
che le persone hanno per realizzare queste soluzioni applicative. Quindi
si parla di due termini, quelli di mancanza, di shortage, in termini
quantitativi, e di gap, in termini proprio qualitativi, per quanto
riguarda la conoscenza. Ci sono poche persone: quest'anno stimiamo che
ce ne siano 100.000 in meno di quelle che servono in Italia (noi facciamo
questo studio ogni anno per vedere la situazione a livello mondiale, ed
è così dappertutto). Queste persone che non ci sono sono
un guaio per il Paese dove mancano, vuol dire che in quel Paese lì
c'è meno crescita.
Il Prof. Magnani citava una cifra di 17.000 miliardi
di mancato fatturato in Italia nel 2001, dovuti al fatto che non ci sono
queste risorse. Per fortuna, sia le persone del nuovo Governo che quelli
che non sono stati eletti avevano le idee molto chiare in questa direzione;
quindi tutti quanti si stanno muovendo molto aggressivamente e vedremo
spinte molto energiche, sia per quanto riguarda la Pubblica Amministrazione,
che per quanto riguarda la ricaduta e la spinta sul privato. Penso che
avremo davanti un periodo nel quale l'ICT sarà molto popolare,
molto spinto, e anche finanziato per alcuni aspetti. Il tema che noi abbiamo
di fronte è quello, come azienda del settore, di fare il possibile
perché queste conoscenze vengano acquisite. Allora noi, con la responsabilità
che alle aziende che possono permetterselo e che hanno la posizione di
leadership
nel mercato compete, non solo andiamo a misurare quante persone mancano,
ma andiamo anche a vedere pezzo per pezzo, conoscenza per conoscenza, quali
sono le cose che mancano, cioè che tipo di conoscenze bisogna dare
e come si fa a costruirle e ad arrivarci, quali sono i canali, i partners,
le strutture per erogare questa conoscenza. E quindi lavoriamo con le Università,
lavoriamo con le scuole superiori, con i centri di formazione, per far
sì che sia possibile per i nostri giovani acquisire facilmente queste
professionalità, esserne, ove possibile, certificati, quindi avere
una garanzia inoppugnabile che crea un raccordo molto diretto con il mondo
delle aziende, che non sono naturalmente solamente aziende produttrici
di tecnologie, ma sono soprattutto aziende che di tecnologie non hanno
più di tanto bisogno come fine del loro lavoro, ma invece vogliono
produrre bene i servizi di ogni natura come quelle rappresentate in questo
tavolo. E questo è un lavoro nel quale ci troviamo ad essere vicini
a molte realtà universitarie, come questa di Urbino.
Qui abbiamo avuto il vantaggio e il privilegio
di vedere questa cosa nascere dall'inizio, e quindi di poter dare un'impronta,
se possibile, originale, nel momento in cui le decisioni principali vengono
prese, fino a definire i vari corsi e i vari contenuti dei vari esami che
devono essere dati. E questo si inquadra anche in una situazione di rapporti
più ampi, che noi abbiamo col mondo dell'Università. Forse
saprete che un'azienda come la mia non è basata ovviamente su fabbriche
o strutture fisiche. Ogni anno noi dobbiamo reinventare il nostro successo
con nuovi bits, con nuovo software; quindi per noi la ricerca,
diversamente da quanto accade per altri tipi di aziende, è tutto:
su un fatturato dell'ordine di 25 miliardi di dollari, spendiamo più
di 5 miliardi di dollari per creare nuove cose.
In questo ambito ovviamente non è solamente
l'America a dare un contributo in termini di ricerca e sviluppo, ma anche
altri Paesi. A Cambridge abbiamo una struttura che fa un po' da antenna
e da diramazione per la ricerca per quanto riguarda il continente europeo,
e questa struttura ha diversi collegamenti anche con Università
italiane, alle quali eroghiamo dei fondi nell'ambito di segmenti di progetto
finalizzato; così abbiamo fatto con diverse Facoltà, a Bologna,
Firenze, Pisa, Torino, e quindi ci sono sempre dei discorsi in divenire
per i quali possiamo affidare ad altri del lavoro anche in questa direzione.
Riassumendo, noi abbiamo quindi un disegno strategico-tecnologico
che farà fare passi avanti notevoli, in tempi ragionevolmente brevi,
alla presenza e alla pervasività della tecnologia nelle aziende
e nelle famiglie. Ciò naturalmente dovrà essere compatibile
con le condizioni dell'economia, che si prevede che non cresca in maniera
particolarmente aggressiva nell'anno che abbiamo davanti. Quindi da un
lato c'è un fenomeno di lungo periodo e da un altro ci sono delle
fibrillazioni di breve, per le quali magari ci si trova ad avere un contesto
economico non particolarmente favorevole; però la tendenza di medio
e di lungo periodo è quella di maggiore presenza della tecnologia.
L'ostacolo è quello delle persone che
devono essere distribuite nei vari Paesi. Noi siamo particolarmente indietro,
e credo che un messaggio forte da dare alle imprese, in particolare quelle
piccole e medie, che finora non hanno fatto tanto, sia da un lato fargli
capire che differenza può fare usare certi oggetti, organizzarsi
ed essere strutturati in un certo modo, usando gli strumenti che la tecnologia
dà, e dall'altro però, mentre si fa nascere questa esigenza
(che finora è stata molto poco presente e avvertita in Italia, rispetto
agli altri Paesi europei), darle anche la risposta, e quindi dare le persone
che servono.
Facendo queste due cose assieme, cioè
creando la conoscenza dei vantaggi che si possono avere e rispondendo a
questa esigenza che si crea, e naturalmente creando la condizione di partenza,
abilitante, con l'evoluzione della tecnologia, tutte queste cose assieme
credo che possano far fare un salto in avanti al nostro Paese e possano
veramente giustificare quel ruolo di innovazione, di spinta, di creatività
che l'Università in alcuni momenti, e in alcune Facoltà,
e in alcuni settori ha perso, e che adesso mi pare invece venga recuperato
alla grande, in particolare grazie ad iniziative come questa.
Siamo quindi contenti di essere parte di questa
cosa, e concludo ringraziando.
Università,
territorio e imprese: sinergie in azione
Alberto CAZZIOL
Amministratore Delegato
Etnoteam.com
Vorrei iniziare spiegando perché sono qui
e perché sono molto contento di essere qui. Oggi sono qui indubbiamente
come imprenditore e come rappresentante di un'azienda di successo che opera
nel mercato della
Information and Communication Technology, che
è proprio il tema di know how a cui si rivolge questa nuova
iniziativa accademica.
Sono qui perché la mia azienda, la Etnoteam,
ritiene di voler essere sicuramente partner dell'Università
di Urbino in questo nuovo corso di laurea.
Vogliamo essere partners, vogliamo collaborare,
vogliamo trovare il modo di sostenerlo e di accompagnarlo in una rapida
crescita. E credo di poter essere personalmente testimonial di alcuni
fatti che, secondo me, caratterizzano sicuramente il mondo d'oggi, ma che
succedevano già anche parecchio tempo fa, fatti relativi proprio
allo sviluppo di sinergie fra Università e impresa.
Vorrei cominciare con qualche considerazione
generale. Vi sono delle macchine che vanno a benzina, delle macchine che
vanno a gasolio e vi sono molte imprese che vanno a laureati, nel senso
che la risorsa più preziosa che assorbono e impiegano sono i laureati.
I laureati servono per certe categorie di imprese
indubbiamente per un certo background di conoscenze specifiche che
hanno (e questo fa la differenza fra un corso di laurea in una cosa, o
in un'altra ecc.), ma soprattutto, in generale, perché del laureato
serve l'apertura mentale, la larghezza degli orizzonti culturali, serve
la learning attitude, cioè la capacità di imparare.
Se un ragazzo è arrivato al termine di un corso di laurea bene vuol
dire che, se non altro, ha imparato ad imparare, ha imparato ad amministrare
la conoscenza (la propria, ma anche quella degli altri), ha imparato a
imparare, e forse ha imparato anche ad insegnare. Probabilmente ha imparato
a maneggiare modelli concettuali, modelli astratti, ecc.: tutte cose che
in una certa serie di mestieri di impresa servono.
Se si riflette un po', quasi tutti i settori
più effervescenti dell'economia sono costituiti da imprese che vanno
a laureati; e abbiamo sempre più bisogno di laureati. Ovviamente,
bisogna che questi laureati si incanalino verso i settori, i filoni specifici,
le discipline specifiche che servono nei vari mondi imprenditoriali: c'è
la Information Technology, ci sono le biotecnologie e tantissime
altre cose, ma c'è grande bisogno di laureati.
Il fatto che l'Università di Urbino abbia
aperto una nuova linea produttiva di futuri laureati, è un fatto
estremamente positivo sia in generale che nello specifico, perché
purtroppo sono veri i dati che presentava il preside prima: nel mondo della
Information and Communication Technology c'è una terribile carenza di professionisti
solidi, quindi qui c'è più bisogno che altrove di laureati.
C'è un'altra considerazione che vorrei
fare: secondo me un territorio vale di più se c'è un'Università,
e dall'altra parte un'Università vale di più se è
ben sostenuta dal territorio in cui opera.
Un'Università può avere una vocazione
internazionale, può avere gli allievi e i professori che arrivano
da tutte le parti del mondo, ma il legame fra un'Università e il
territorio in cui si trova è un patrimonio che, se ben valorizzato,
fa un gran bene all'uno e all'altro.
Credo che sia fondamentale imparare a valorizzare
sempre di più e sempre meglio il legame fra un'Università
e il suo territorio, e penso che uno dei legami più forti fra Università
e territorio passi per le imprese, perché ovviamente le imprese
assorbono laureati e se esse gravitano nello stesso territorio in cui sono
presenti realtà accademiche, il fatto che imprese di valore assorbano
i laureati prodotti lì scoraggia o frena la fuga dei cervelli.
Noi abbiamo il problema della fuga dei cervelli
verso l'estero, ma abbiamo anche il problema del giovane brillante, con
grandi ambizioni, nato magari nell'entroterra marchigiano, che ha studiato
in una di queste ottime Università, e pensa che se vuol far carriera
deve andare a Milano, a Roma o a Londra, oppure magari negli Stati Uniti.
Se si riesce a fertilizzare con energia e in
modo lucido la relazione fra Università, territorio e impresa, si
creano le premesse per cui anche per le menti più brillanti possano
esistere delle condizioni di impiego e di valorizzazione professionale
assolutamente eccellenti anche localmente, anche restando vicino a casa.
Noi negli ultimi 20-24 mesi abbiamo subito, come
tutti gli altri, il famoso skill shortage, la carenza di specialisti,
e così anche la esplosione di una serie di storture di mercato.
A Milano, negli ultimi 18 mesi, assumere una persona di valore nel mio
settore è diventata una lotteria. Prima bisognava individuarlo e
ottenere la sua attenzione, poi bisognava offrirgli stipendi assolutamente
fuori mercato, stipendi fuori dalla possibilità di un reale equilibrio
economico nel lungo periodo. Dopodiché, nell'evenienza che questo
signore accettasse una lettera di assunzione e dovesse presentarsi un mese
dopo, in realtà usava quella lettera di assunzione per andare a
ottenere qualcosa di meglio da un'altra parte. E comunque, se riuscivamo
ad assumerlo, poi bisognava preoccuparsi subito di come fare a fidelizzarlo,
perché immediatamente veniva reso oggetto di altre proposte. Una
situazione effettivamente molto dura e non tanto sana.
Come risposta a ciò, abbiamo cominciato
a sviluppare, a concretizzare, una strategia di crescita decentrata rispetto
ai due grandi poli dove eravamo radicati, Milano e Roma. Ho ritento che
il territorio che si può racchiudere in un arco di qualche centinaio
di chilometri sia a sud che a nord di Ancona, dove è presente una
società del gruppo, la Etnoteam Adriatica, fosse un territorio estremamente
favorevole per mettere in atto la seguente politica: creiamo una serie
di poli produttivi di media dimensione, ma di altissimo profilo tecnologico,
quindi con tutte le infrastrutture, con tutto quello serve e anche con
la vocazione a presidiare temi di eccellenza, e facciamo in modo che chi
ha vissuto e ha studiato da queste parti possa trovare la sua piccola Silicon
Valley qui, senza alcun bisogno di andare da nessuna parte.
Abbiamo cominciato a guardarci in giro e una
delle prime domande a cui ho chiesto di avere risposta è: dove sono
le Università? Poi mi sono preoccupato dei trasporti, della viabilità,
del fatto che la gente possa venire a lavorare da noi facilmente, ecc.
ecc. e abbiamo individuato, oltre alla nostra sede storica di Ancona, un
polo attraente a sud di Ancona e un altro a nord di Ancona. Con quello
a sud siamo già partiti: in otto mesi abbiamo assunto 60 persone;
il traguardo è di arrivare a una dimensione che considero ottimale
di 120. Intanto sto pensando a dove posizionare l'altro polo, quello da
mettere a nord di Ancona. Qui avevo una perplessità, perché
mi mancava l'Università che mi potesse sostenere sul tema specifico.
Sono molto contento di essere qui oggi, perché l'ho trovata. A questo
punto comincio ad avere un'idea di dove possa nascere nel prossimo futuro
il secondo polo marchigiano della Etnoteam .
Ho voluto fare questa parentesi sulla esperienza
diretta di Etnoteam perché volevo rafforzare il concetto che Università
e impresa hanno molte parti del loro destino in comune e il tutto si radica
anche specificamente sul territorio, perché oggi più che
mai è importante piazzare una sede che dovrà arrivare a 100
persone vicino ad un'Università che assicuri un certo tipo di fertilizzazione
reciproca.
Vado oltre nel commentare i legami fra Università,
territorio ed impresa. Nella mia esperienza ho visto che anche in Italia
la presenza di un filone di attività universitaria in un certo settore,
se ben condotto, genera imprese nuove, fa nascere imprese che prima non
c'erano, perché è abbastanza naturale che da parte del corpo
accademico prima, e dei neolaureati, dei ricercatori poi, ogni tanto venga
fuori un'idea buona che viene voglia di sviluppare, che però ha
bisogno di essere trasformata in impresa, insomma un fenomeno naturale:
la Etnoteam è nata così.
La Etnoteam è nata a Milano 25 anni fa.
C'era un professore universitario che, all'interno dell'Istituto di Fisica,
con grandi sforzi è riuscito a far decollare un corso di laurea
in Scienze dell'Informazione. In quel contesto hanno trovato spazio di
crescita e di espressione un certo quantitativo di studenti (io ero uno
di quelli!), che hanno cominciato addirittura a vivere un po' dentro l'Università,
ma che contemporaneamente hanno cominciato ad avere voglia di fare impresa.
Da quella realtà sono nate, a suo tempo, una decina di società
diverse. Non tutte sono arrivate così lontano come la Etnoteam;
altre sono state assorbite da altre imprese, si sono vendute, comperate,
trasformate, è nata comunque imprenditoria.
Sono abbastanza convinto, anzi sicuro, che con
un approccio lucido a quello che si sta facendo qui ad Urbino, ci si possa
tranquillamente aspettare che in capo a qualche anno potrebbe essere nata
anche qualche impresa nuova su temi vicini a ciò che si sviluppa
qui. Se nascono le imprese, cresce il bisogno di laureati. Se servono laureati,
l'Università è più incoraggiata a produrli. Se i laureati
trovano sbocco localmente, accorrono gli studenti. Diciamo che si innesca
un circolo virtuoso che, secondo me, è molto concreto, non è
poesia o fantascienza.
Adesso siamo qui, questa realtà si sta
muovendo. Che cosa pensiamo di fare come Etnoteam? Pensiamo di candidarci
(è un discorso che è tutto da iniziare, ma che sarà
abbastanza facile, rapido) per stages, borse di studio, ma anche
possibilmente progetti congiunti di ricerca che ingaggino subito, per esempio,
il corpo docente: non c'è bisogno di aspettare che arrivino i laureati
per fare qualcosa, si può cominciare anche prima.
Condivisione di strutture di ricerca: la Etnoteam
sta concretizzando una rete di laboratori di ricerca applicata, finalizzati
al nostro mestiere; uno, ad esempio, è quello che chiamiamo il Corporate
Wireless Lab, mirato a tutte le tecnologie e applicazioni che passano
attraverso le comunicazioni mobili senza filo, il cellulare, il palmare
ecc. Potremmo magari trovarci a discutere la possibilità che un
sito di questo laboratorio a rete possa essere impiantato da queste parti
e che ci possa organizzare per svolgere congiuntamente certi tipi di attività
di ricerca, di sviluppo ecc. ecc.
Credo che la mia azienda sia in grado di esprimere
potenzialmente anche delle forme complementari di docenza: per il modo
in cui siamo nati noi abbiamo avuto dentro la Etnoteam, soprattutto nei
primi dieci anni, non meno di venti tra assistenti, professori a contratto
ecc. Quindi è una storia che abbiamo già vissuto e che sarei
anche contento di veder rinascere qui.
E infine mi auguro che si riesca anche a discutere
e a impostare un'ultima cosa. Bisogna sempre muoversi in fretta; purtroppo
questa è una condanna, bisogna andare in fretta. Adesso iniziano
i corsi di laurea e quindi fra qualche anno cominceranno ad esserci i primi
laureati. Ma secondo me si può fare qualcosa per accelerare tutto
il processo di cui ho discusso finora se, per esempio, si trovano delle
iniziative, delle formule, che richiamino chi si è già laureato
da poco, magari altrove, o chi si sta laureando altrove, e che comunque
abbia qualche legame con questo territorio e quindi possa avere dei legami
anche con questa Università. Penso a dei masters, dei corsi
post-laurea, dei corsi collaterali agli ultimi anni di laurea delle altre
Università, che comincino a richiamare qui gente. Per sviluppare
questi nostri poli locali, abbiamo bisogno di portare qui gente che l'esperienza
se l'è già fatta ai livelli massimi del mercato altrove.
Bene, noi siamo pronti ad esserci. Anzi, siamo
già qui vicini e non aspettiamo altro che di avere l'occasione di
esserci davvero qui insieme a voi.
Professioni del futuro
e Università
Piero VALENTINI
Direttore Generale
Gruppo Biesse
Come Biesse abbiamo bisogno di dare qualche informazione
su di noi. Lo diceva prima l'Ing. Paolucci: la new economy, per
giusti motivi, ha goduto di una certa notorietà forse in misura
eccessiva.
Biesse è una società che non vive
nel mondo che ha giustamente dato più visibilità, più
notorietà a Microsoft, a Etnoteam, a think3. In questa mia presentazione
ho inserito quindi velocemente una introduzione, una specie di carta di
identità della nostra azienda, che peraltro è un'azienda
che è nel territorio.
Biesse è una società che si occupa
di macchine per la lavorazione di vetro, marmo e legno. È una società
leader a livello mondiale, con il suo quartier generale a Pesaro, ma con
altri siti produttivi in Italia (a Torino, Bergamo) e un'azienda importante
in Austria, che è stata acquisita l'anno scorso. Ha una presenza
multinazionale, oltre a questo sito produttivo in Austria ha insediamenti
in 14 Paesi, 19 filiali nel mondo. Ha una dimensione che rispetto ai numeri
di Microsoft o di altre aziende non è così significativa,
ma è comunque importante, avendo un fatturato di circa 344 milioni
di euro, quindi 660 miliardi di lire.
È nata dall'intuizione di Giancarlo Selci,
che è imprenditore nel mondo della lavorazione meccanica; grazie
alla presenza nel territorio di un distretto del mobile, inizia a produrre
e progettare macchine per il legno. Ciò succede nel 1970. Negli
anni '80 l'azienda cresce, espandendo la gamma di prodotti all'interno
delle macchine per il legno. Viene creata, per un trasferimento di tecnologia,
la divisione vetro e marmo; quindi compare nel business della lavorazione
di altri materiali. Cresce negli anni '90, espandendosi internazionalmente.
Nel 2000 acquisisce aziende, fonda filiali ecc.. Nel 2000 acquisisce un'azienda
in Austria, che è un'azienda che fattura 150 miliardi, che produce
i sistemi. Nel 2001 l'azienda è andata in Borsa, poche settimane
fa.
Tutto ciò ha portato a una leadership
globale: oggi Biesse è il primo produttore mondiale in centri di
lavoro a controllo numerico per la lavorazione di legno, vetro e marmo,
secondo produttore italiano, secondo produttore mondiale per i sistemi
chiavi in mano (quindi sistemi complessi per grandi clienti), produttore
mondiale di macchine per la lavorazione del legno, quarto al mondo.
Biesse si occupa sostanzialmente di quattro business:
divisione legno, divisione vetro e marmo; si occupa di fornire ai clienti
macchine complesse con dei contenuti di elettronica, di software,
molto rilevanti, per la lavorazione del legno, vetro e marmo un'altra divisione.
Abbiamo poi la Schelling, che è l'azienda
austriaca che si occupa di sistemi complessi, quindi di clienti che hanno
bisogno di risolvere un proprio problema produttivo e, attraverso macchinari,
software di gestione, logistica e consulenza in senso lato, chiedono
un supporto a Biesse.
L'ultima è una divisione che abbiamo chiamato
Meccatronica,
che si occupa di produrre componenti meccanici, elettronici e del software
relativo; quindi questa divisione vende il proprio prodotto sul libero
mercato. Questa è la divisione dove si concentrano le attitudini,
le capacità e le conoscenze in termini di elettronica. Quindi abbiamo
messo qualcos'altro rispetto alla presenza internazionale, copriamo tutto
il mondo, grande enfasi alla assistenza, al servizio al cliente, alla nostra
distribuzione e alla capacità di essere capillari.
Quanti dipendenti ha Biesse? Nel '98 eravamo 1.214,
al 31 marzo 2001 siamo 2.070. Tra il 1999 e il 2001 c'è l'acquisizione
dell'azienda in Austria, che conta circa 300 persone, ma, ciò nonostante,
in tre anni l'azienda ha assunto 500 persone nel pesarese. Di queste 500
persone il 25% sono laureate, il 30% sono diplomate.
Il problema formativo che viviamo è quello
di un gap tra la scuola e il lavoro: c'è un buco. Ho indicato
qui che altri Paesi ce l'hanno anche loro adesso. Cito la Germania, perché
è il territorio dove abbiamo i nostri competitors, i nostri
concorrenti: questo buco ce l'ha di meno perché ci sono dei sistemi
di interazione tra l'azienda e la scuola, addirittura degli obblighi, per
le aziende medio-grandi, di istituire una scuola di formazione professionale,
che viene poi sovvenzionata dallo Stato o dalle amministrazioni locali.
Questo fa sì che si riesca a interagire e a poter condividere i
costi di quel gap, che noi oggi abbiamo in Italia, che fa sì
che un laureato, o un diplomato, arrivi in azienda, ma non sappia ancora
dare assolutamente un contributo.
Noi stimiamo che i primi 12-18 mesi il contributo
che dà il neoassunto abbia un saldo negativo rispetto a quello che
l'azienda dà a lui, quindi è l'azienda che investe. Peraltro
non siamo specialisti di formazione, abbiamo mille cose da fare: la nostra
azienda è cresciuta a ritmi altissimi e a volte non siamo concentrati
su quest'aspetto della formazione.
Questo gap lo possiamo colmare, lo stiamo
colmando, abbiamo già lavorato con le Università; l'Università
di Urbino, il preside Magnani, ci ha già visto lavorare insieme
su altri temi. Lo stiamo facendo, condivido e non ripeto alcune cose che
chi mi ha preceduto ha già espresso, come il lavorare sul territorio,
il lavorare con le Università del territorio, il fatto che un'Università
sul territorio sia una ricchezza, sia qualcosa che dà più
valore al territorio stesso e alle aziende che vivono lì vicino.
Come l'abbiamo fatto? L'abbiamo fatto promuovendoci
per degli stages in azienda, partecipando alla progettazione di
corsi di formazione. In uno di questi abbiamo già lavorato con il
preside Magnani, per ciò che riguarda la tecnologia del legno. Ne
parlavamo poco fa; è stato anche per certi versi un successo concreto:
ha portato a delle assunzioni, a una selezione importante di personale
formato.
Contatti per selezioni anticipate: lo stage
in azienda per noi diventa prima di tutto un colloquio che non dura mezz'ora,
non dura un'ora: i colloqui di selezione - ahimé! - durano un'ora, due
ore, tre ore. Uno stage in azienda è un colloquio che dura
sei mesi, quindi riusciamo a capire attraverso questi stages qual
è l'area migliore in cui questa persona può essere utilizzata
e possiamo anche dirottare o indirizzare la persona stessa a capitalizzare
meglio le proprie attitudini.
Cosa può fare e cosa sta facendo l'Università
di Urbino in questa iniziativa è un ulteriore importante passo,
e va sempre nell'ottica di ridurre quel gap formativo. Alla fine
dovremo fare in modo di coprire, ognuno per la propria parte, quel buco
che c'è lì in mezzo.
Avvicinamento ai fabbisogni del mondo industriale.
Cito lo stesso numero (tra l'altro è una fonte credo di un'indagine
Microsoft) di cui parlava l'Ing. Paolucci: 70.000 informatici; era il '99,
oggi si stima che già siano 100.000. Quindi istituire un corso in
Informatica è un chiaro segnale che l'Università non va a
fondare o ad attivare un corso su una materia di cui non c'è nessun
reale fabbisogno dal mondo dell'industria: lo fa in un'area dove è
certificato che ci sia grandissimo fabbisogno, grandissima attesa dal mondo
dell'industria.
E la localizzazione, quindi la parte geografica,
andare nei territori dove c'è bisogno di queste persone. Noi abbiamo
assunto 50 informatici in due anni, che nel nostro piccolo costituisce
un numero importante: sono informatici che vanno a lavorare sia nel mondo
dei nostri sistemi informativi, sia nel mondo dell'automazione industriale.
La parte che ci interessa di più del corso che viene promosso è
quella della progettazione di sistemi hardware e software
per l'automazione industriale. Noi lì occupiamo la gran parte dei
nostri circa 100 tecnici che oggi già abbiamo in azienda. Ecco,
dicevo, 50 informatici in due anni sono circa due classi: già uno
può pensare solo su questi numeri (e noi non siamo nessuno).
Sentivo il Dott. Cazziol e i numeri che diceva
riguardo ai progetti che ha per la costa adriatica in generale: direi che
potremmo arrivare anche a litigarceli alla fine i laureati dell'Università
di Urbino, ahimè!
Il nostro impegno è quello di partecipare,
come abbiamo già fatto in passato, in maniera fattiva; abbiamo delle
strutture, siamo sul territorio anche noi. Chiaramente abbiamo un indirizzo,
un'impostazione diversa; non siamo una società di new economy,
ma nel mondo delle aziende, di sicuro in tutte le aziende ci sarà
bisogno dello specialista di sistemi informativi, Information and Communication
Technology, il webmaster, sono figure che noi abbiamo inserito
già in azienda, l'attenzione alle tecnologie Internet, ecc.
Noi avremo un gran bisogno di persone che saranno
capaci di interpretare il futuro del mondo dell'impiantistica, dei macchinari.
È sempre maggiore il contenuto di elettronica. Noi stimiamo che
dieci anni fa una macchina per la lavorazione del legno avesse un contenuto
di elettronica in termini di costo hardware e software pari al 2%;
oggi questa percentuale è arrivata al 13-14%. Quindi, se lo sommiamo
alla crescita di questo mercato ecc., vengono fuori numeri importanti.
Aggiungo uno spunto che traevo dagli interventi
precedenti: la velocità è importante. Ho segnato in quel
grafico una freccia che indicava un po' un percorso, che poi sarà
anche il percorso ideale di uno studente che entra nel mondo del lavoro.
È importante che si pensi ad una formazione continua, una attitudine
ad imparare continua. E nell'informatica questo fenomeno qui è ancora
più grande. Noi siamo un'azienda che proviene dalla meccanica. Nella
meccanica le cose evolvono, ma le velocità con cui evolvono sono
basse. Non per questo uno che ha studiato ingegneria meccanica trent'anni
fa non si debba aggiornare, anzi, guai a non farlo! Ma ancor più
chi si occupa di informatica.
Io ho studiato a Pisa, dove c'è una scuola
importante di informatica. Non ho studiato informatica. Ma allora agli
studenti che entravano in quel corso, la prima cosa che gli dicevano erano:
"Guarda, io ti insegnerò delle cose in questi quattro anni, ma sappi
che quando entrerai nel mondo del lavoro di queste cose che ti ho insegnato,
di buono, di utile, di attuale ce ne sarà ben poco". Ci sarà
- e lo diceva bene il Dott. Cazziol - la capacità, l'attitudine
ad essere pronti a imparare cose nuove, ad essere attivi, ad essere delle
spugne, ad essere abili ad adattarsi al mondo che sta cambiando.
Il Dream Team di R&D di think3
Gaetano Mazzanti
Vice President R&D di
think 3
Volevo spendere due parole su think3, perché
credo che non sia un'azienda molto nota, almeno localmente, sebbene abbia
un ufficio a Pesaro, e la tecnologia che è alla base del nostro
prodotto sia nata a Pesaro, in una piccola azienda che poi è stata
acquisita, nel '91. E' un'azienda nata nel '79, anche in questo caso da
persone fuoriuscite dall'Università con un'idea imprenditoriale,
che era quella di sviluppare un software per la progettazione meccanica,
un software CAD. CAD LAB, questo era il nome dell'azienda allora,
è diventata un leader nel mercato italiano per soluzioni
di questo tipo. Con un po' di ritardo, negli anni '90, ha iniziato a espandersi
verso l'Europa finché, alla fine degli anni '90, ha deciso di fare
il grande passo e andare negli Stati Uniti.
È stato un passo abbastanza inusuale,
perché abbiamo trasferito la sede a Santa Clara, in California.
Abbiamo cercato e trovato del venture capital americano e scombussolato
l'azienda affidandone la gestione a un CEO americano, che si chiama
Joe Costello. Joe Costello nel 1997 è stato nominato CEO
dell'anno negli Stati Uniti (il CEO è l'equivalente del nostro
amministratore delegato) per aver portato un'azienda che si occupa di CAD
elettronico, un settore parallelo al nostro, da un fatturato di 10 milioni
di dollari a un miliardo di dollari in pochi anni. Ovviamente noi speriamo
che faccia altrettanto con think3. Ciò che è successo
è che sicuramente Joe ha portato una serie di innovazioni terribili
nel mondo del CAD meccanico, che è un settore abbastanza lento,
tradizionale, conservatore. E quindi, oltre a un prodotto che ovviamente
ci deve essere (ed è la base per avere una soluzione proponibile),
ha introdotto tutta una serie di iniziative commerciali, quindi un modello
di business, un modello di supporto dei clienti, e delle innovazioni
molto interessanti sul modo di fare il training, che è un
aspetto fondamentale per questi sistemi, che di solito hanno un costo di
introduzione in azienda molto elevato. Ha preso il mercato di sorpresa,
e i primi effetti di queste innovazioni li stiamo già vivendo.
Quindi da un'azienda piccola, nazionale, con
due uffici a Bologna e Pesaro, siamo adesso un'azienda che in termini di
Ricerca e Sviluppo ha sette uffici, tre negli Stati Uniti, uno in Francia
e uno in India, oltre ai due in Italia, in cui la necessità di persone
ad alto skill sono indispensabili. Anche noi abbiamo dei problemi
serissimi di persone preparate, sia in termini di qualità che di
quantità: è un ritornello che oggi abbiamo sentito ripetere
tante volte, ma purtroppo è la verità, e il fatto che abbiamo
aperto un ufficio in India è sintomatico di questa difficoltà,
perché l'India è un Paese che offre in termini di quantità,
ovviamente, ma anche di qualità, nelle sue scuole. Ci sono degli
Istituti di Scienza e di Tecnologia che offrono una preparazione altissima,
e quindi siamo stati quasi costretti ad aprire un ufficio a Bangalore,
che è un po' il polo tecnologico indiano, perché lì
è veramente più facile trovare persone già preparate
e quindi in grado di essere produttive più in fretta. In realtà
c'è anche un motivo di costi, ma non è quello principale,
perché il motivo principale è veramente il talento a disposizione
già preparato.
Tra Bologna e Pesaro siamo circa 80 persone che
sviluppano, e direi che il 90-95% di queste persone sono state formate
internamente, quindi con un costo enorme di tempo, di denaro e poi con
il rischio che queste persone, una volta formate, con un processo di sviluppo
che è molto complicato ed evoluto, poi se ne vadano, quando sono
diventate super esperte, soprattutto a seguito di distorsioni come quelle
che abbiamo vissuto negli ultimi anni.
Noi pensiamo di far crescere moltissimo l'ufficio
di Pesaro. La tecnologia è alla base del nostro prodotto, è
un prodotto di progettazione meccanica in senso lato, quindi sia per aziende
che fanno macchine, ma anche per aziende che fanno automobili, aerei o
oggetti di consumo o design. Posso citare, tra i nostri clienti
in Italia, Alessi, Luxottica; nelle Marche i Guzzini, Poltrona Frau, Antonio
Merloni; e, nel mondo, Adidas, Peugeot Citroen, quindi aziende molto evolute.
Uno degli aspetti fondamentali per noi è
trovare persone già pronte. Per questo ci siamo mossi da anni, partecipando
a progetti finanziati: think3 è uno dei pochi casi di aziende
come la nostra che è nell'albo dei laboratori di ricerca. Partecipiamo
a progetti europei e nazionali. Abbiamo già una collaborazione con
la Facoltà di Informatica dell'Università di Bologna, che
ha già prodotto oltre a diverse tesi e stages, molte assunzioni
nell'ufficio di Bologna. L'idea di avere una base ad Urbino, su cui costruire
la crescita del nostro ufficio di Pesaro, ci stimola parecchio.
Noi speriamo di contribuire, oltre che col nostro
software,
con stages e con borse di studio. Speriamo di contribuire anche
nella definizione dei contenuti, perché questo è un altro
grosso problema. Noi continuiamo ad assistere a dei colloqui in cui ci
sono persone (informatici o matematici) che ancora conoscono solo il Fortran
o il Pascal. Continuiamo a sgranare gli occhi, ma questa purtroppo è
la realtà. Speriamo che questo cambi. L'Ing. Paolucci citava
.NET,
ma quando noi chiediamo alle persone se conoscono la tecnologia
com
(ai neolaureati), che è un po' il passo prima di .NET, di
nuovo continuiamo a vedere occhi sgranati e persi nel nulla. Quindi speriamo
che questa vicinanza tra l'azienda e l'Università contribuisca anche
a definire dei contenuti più vicini e più moderni.
Pagina a cura di
Pierangela Donanno
Settembre 2001